DAL VOLPINO JINGLES AL LABRADOR WYNN: CHE COS’E’ E COME SI E’ EVOLUTA LA PET THERAPY

Mai come in questo periodo stiamo riscoprendo il forte legame che ci unisce ai nostri animali d’affezione, rifugio sicuro in cui ritrovarci e magari far riemergere la parte migliore di noi che avevamo dimenticato.

 

Da molto tempo sono peraltro scientificamente provati i benefici dell’interazione tra l’essere umano e l’animale.

 

Stiamo ovviamente facendo riferimento a quella pratica terapeutica meglio nota come pet therapy. Quando parliamo di pet therapy andiamo a indicare quelle terapie o attività assistite effettuate con l’ausilio di animali e che sono volte a un miglioramento delle condizioni psicofisiche dell’individuo proprio attraverso l’interazione con l’animale.

 

E’ infatti stato scientificamente provato che questo tipo di terapie e attività possano ridurre l’ansia e lo stress e ridurre il senso di solitudine.

 

Il termine “pet therapy” venne usato per la prima volta dal neuropsichiatra infantile Boris Levinson nel 1961. L’intuizione del medico nacque nel corso di una seduta di psicoterapia con un bambino autistico. Il neuropsichiatra notó infatti la maggior volontà di interagire con il medico e di partecipare più attivamente alla seduta quando era presente il proprio cane, un volpino di Pomerania di nome Jingles.

 

È così che Levinson intraprese una serie di studi sperimentando e dimostrando l’efficacia della presenza degli animali d’affezione nei processi terapeutici elevando anche il cane, nel suo libro del 1962, a co-terapeuta (“The dog as a cotherapist”, Il cane come co-terapeuta).

 

Certamente quando si parla di Pet Therapy si va a indicare una interazione tra l’essere umano e l’animale calata in una prospettiva, per l’appunto, terapeutica, con l’obiettivo di migliorare il benessere psicofisico della persona sottoposta a cura.

 

Tuttavia è innegabile che anche l’interazione tra il singolo individuo e il proprio animale tra le mura domestiche abbia un che di miracoloso.

 

Non è un caso che i benefici di questa interazione fossero noti sin dall’antichità, anche se il primo studio con approccio scientifico del “potere curativo” dell’animale d’affezione risale al 1792. Lo psicologo inglese William Tuke affiancó alle cure tradizioni l’attività di giardinaggio e l’impegno nella cura di piccoli animali d’affezione come conigli e galline per educare o rieducare i pazienti a riprendere certe abilità.

 

E, ancora, possiamo ricordare lo studio tedesco nel 1867, presso il Bethel Hospital, dove venne studiata l’interazione tra pazienti epilettici e disabili e alcuni animali d’affezione come cani, gatti e anche cavalli. Presso il Bethel Hospital venne addirittura costruita una vera e propria fattoria che potremmo quasi considerare l’antenata dell’odierna fattoria didattica

 

Nel corso del tempo, prima ancora del riconoscimento ufficiale di questa terapia, possiamo anche annoverare primi esempi dell’ippoterapia, i cui benefici per la salute erano già stati presi in considerazione dalla medicina greco-romana che considerava benefiche tutte le attività equestri.

 

Non possiamo poi non ricordare come nel 1875, in Francia, il dott Chessigne fu probabilmente il primo medico a prescrivere l’equitazione per i pazienti con disturbi neurologici, avendone constatato un beneficio tanto per l’equilibrio che per il controllo posturale.

 

Anche alla fine di ciascuna delle due guerre mondiali che scossero l’Europa e il resto del mondo, abbiamo potuto osservare ancora una volta l’impiego di animali a scopo terapeutico. In particolare, tanto in relazione al primo, quanto al secondo conflitto bellico, possiamo annoverare due esempi di pet therapy effettuata negli ospedali statunitensi. Nel 1919 al St. Elisabeth’s Hospital di Washington vennero utilizzati dei cani per curare dei pazienti che, a seguito della prima grande guerra, avevano manifestato forme gravi di depressione e schizofrenia. 

 

Gli animali vennero introdotti anche per coadiuvare la cura di reduci della seconda guerra mondiale. Siamo ancora negli Stati Uniti dove, come nel Bethel Hospital, si poté osservare il beneficio tratto dai veterani nel prendersi cura degli animali di una fattoria. Questa iniziativa venne ideata tramite la Croce Rossa presso l’Army Air Corps Convalescent Hospital a Pawling (New-York).

 

 

 

La storia degli ultimi 300 anni ha quindi avuto più volte l’occasione di dimostrare come il rapporto emotivo instaurato con un animale arrechi beneficio all’essere umano.

 

Per quanto attiene all’Italia e alla specifica regolamentazione giuridica volta a tutelare gli interventi assistiti con gli animali, abbiamo dovuto attendere l’anno 2000. Non dobbiamo infatti dimenticare che, anche se la pet therapy ha degli indubbi benefici sulla salute umana, l’utilizzo degli animali, nelle sue varie declinazioni, non può prescindere dalla valutazione della dimensione etica con cui gli animali vengono impiegati e quindi da una specifica regolamentazione.

 

Non si può non prendere le mosse dalla Carta di Modena del 2002, che ha ottenuto il patrocinio del Ministero della Salute e che rappresenta la Carta fondamentale dei valori e dei principi sulla Pet Relationship, che riconosce ed é fondamentale ricordarlo “il debito ontologico dell’uomo nei confronti dell’alteritá dell’animale; in particolare si ribadisce la necessità di preservare tale referenza. Il rapporto con l’animale domestico costituisce un valore fondamentale per l’uomo e il processo di domesticazione da riconoscersi come patrimonio dell’umanità”.

 

Il Comitato nazionale per la bioetica del 21 ottobre 2005, sulla scia dei principi fondamentali posti dalla Carta di Modena, non ha infatti mancato di indicare come all’animale debba essere garantita “una persistente condizione di benessere e possibilmente la realizzazione di una condizione di giovamento” auspicando che vengano sostenute al contempo anche le ”ricerche volte ad individuare eventuali alterazioni del benessere degli animali, al fine di non esporre gli animali stessi ad utilizzi (nelle pratiche o nelle modalità di lavoro) che li possano portare a condizioni di malessere”.

 

Sono quindi seguiti anche gli interventi delle singole regioni sulla scorta dei principi dettati dall’Accordo Stato-Regioni sul benessere degli animali da compagnia e Pet Therapy del 6 febbraio 2003.

 

La prima Regione a intervenire in materia è stata il Veneto, con la Legge Regionale del 3 gennaio 2005 n. 3 (BUR 2/2005), seguita dalla Regione Puglia nel 2008, dalla Regione Piemonte nel 2010 e, nel 2012, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, con la legge del 12 aprile 2012 n. 8 rubricata “Norme in materie di terapie e dì attività assistite con gli animali (Pet therapy)”, BUR FVG 18 aprile 2012 n. 8.

 

Dato l’interesse e la dimensione bioetica che coinvolge, non ha mancato di intervenire nel 2007 anche l’Istituto Superiore di Sanità che ha presentato una analisi della situazione italiana e avanzato una proposta di linee guida sulle terapie e attività assistite con gli animali.

 

Importante per gli operatori del settore è anche la nota esplicativa 9.4 del Ministero della salute del 25 maggio 2016 con la quale il Governo, palesata la necessità di uniformare le procedure che regolano l’erogazione degli interventi assistiti con gli animali, ha chiarito le linee guida definendo i criteri per il riconoscimento della formazione pregressa.

 

Da ultimo gioverà ricordare a chiunque voglia avvicinarsi alla Pet terapia che il Ministero della Salute con nota protocollo n 25415 del 27 novembre 2017 ha trasmesso il vademecum per l’erogazione dei corsi di formazione in punto di interventi assistiti con gli animali, condiviso e applicato su tutto il territorio nazionale.

 

Preso atto dell’efficacia della pet therapy e del suo riconoscimento a livello nazionale, si ritiene possa portare un grande beneficio allo stato psicofisico di un individuo anche quando non praticata nell’accezione tecnica di terapia, ma solo di interazione uomo-animale.

 

Il nostro pensiero va in questo momento ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari sottoposti a forti stati di stress in quanto coinvolti in prima linea nella gestione dell’emergenza sanitaria che si è abbattuta sul nostro Paese (e non solo). E’ di pochi giorni fa la foto di una dottoressa del Rose Medical Center di Denver che, in un raro momento di riposo, dopo turni estenuanti si è concessa qualche minuto per coccolare Wynn, un labrador da pet therapy che, adesso, dona conforto proprio ai sanitari.

 

Auspichiamo, anche in considerazione del fatto che è stato accertato che gli animali d’affezione non trasmettono il Covid-19, che possano, nel rispetto etologico della loro essenza, essere presto i benvenuti tra le corsie degli ospedali per donare sollievo a pazienti e sanitari.

 

Si allega il link dell’articolo da cui è tratta la storia di Wynn e la foto che ritrae la dottoressa Ryan.

 

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